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Il Blue Whale e la spettacolarizzazione del disagio

Da alcune settimane rimbalzano su siti web, social media e televisioni notizie riguardanti il "gioco" dell'orrore noto come #BlueWhale (per un approfondimento vi invito a leggere il seguente articolo che spiega la possibile origine del fenomeno http://www.queryonline.it/2017/05/18/blue-whale-storia-di-una-psicosi/).

Ciò che mi ha fatto riflettere e preoccupare, in questi giorni, non è tanto l’entità del fenomeno stesso, a metà strada tra emergenza sociale e leggenda metropolitana, quanto, piuttosto, la percezione del malessere degli adolescenti che la società contemporanea mostra di avere.

Mi sembra, infatti, che ci si trovi dinnanzi all’ennesimo caso nel quale il disagio, vissuto da un numero crescente di adolescenti, per essere visto e ascoltato dagli adulti debba, in qualche modo, essere imputato ad una pericolosa, misteriosa e perciò imprevedibile causa.

Nella mia professione di psicologa nelle scuole ho l'opportunità di ascoltare e parlare con gli adolescenti e di imbattermi nel sintomo complesso dell'autolesionismo, sempre più spesso riportato dai ragazzi, come espressione del disagio vissuto a scuola, in famiglia, tra i pari.

L'agito autolesionista, venuto in queste ore alla ribalta attraverso il fenomeno blue whale, non è certo una novità di queste settimane, ma una pratica ben conosciuta dagli operatori che sempre genera sentimenti di preoccupazione e impotenza. È perciò importante rimarcare che l’autolesionismo non è IL disagio quanto, piuttosto, un sintomo del malessere del giovane.

La differenza, in questo caso, non è solo sintattica ma di significato: è fondamentale infatti saper individuare, al di sotto dell'espressione sintomatica, il malessere celato, quel dolore spesso inascoltato o sottovalutato che viene a galla solo sotto forma di emergenza... emergenza cyberbullismo, emergenza cannabis, emergenza blue whale…

Verrebbe quindi da chiedersi: dove finiscono gli adolescenti tra un’emergenza e l’altra? Dove finisce il loro malessere quando termina lo spettacolo, le luci si spengono e torniamo ad occuparci di questioni più “concrete” e forse più facilmente comprensibili?

Viene da pensare se, in una società che vive il disagio come uno show televisivo, condito da spot pubblicitari con offerte speciali per la felicità, i giovani non siano in realtà da tempo “costretti” a prendere parte a questi fenomeni virali che si susseguono, pur di essere visti, ascoltati, considerati.

Ed allora ben vengano speciali televisivi ed articoli di giornale su quella che sembra essere l'emergenza del momento, a patto che l'allarme non sia fine a se stesso ma che conduca ad una reale maggiore responsabilizzazione genitoriale e attivazione istituzionale verso gli adolescenti e le loro problematiche.


blue whale


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