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Alla ricerca della famiglia perduta

Alla ricerca della famiglia perduta: Riflessioni su disabilità e famiglia.

Articolo a cura del Dott. Goro

Ciò che ho potuto constatare, sin dai primi momenti di relazione, nel lavoro con ragazze e ragazzi disabili, è quanto la famiglia sia coinvolta in un vortice di emozioni, aspettative, conflitti, gioie, sensibilità, paure, angosce. Le dinamiche che caratterizzano questo tipo di famiglie sono molteplici e coinvolgono diversi attori, prime tra tutti le istituzioni, ma anche professionisti della salute, contesti sociali e culturali, che spesso non sono pronti ad accogliere la diversità e ne sono ancora molto spaventati.

Questa riflessione, che vorrei condividere con voi lettori, nasce dalla constatazione personale che spesso la famiglia con disabilità è una famiglia perduta, dimenticata, dove gioie e dolori che la vita di tutti i giorni porta con sé sono amplificati e dove i dogmi e le stigmatizzazioni della società contemporanea vengono vissuti in prima persona e con maggior dolore.

La presa in carico della persona con disabilità è spesso non adeguata o non sufficiente, non calibrata sui bisogni concreti (sia che essi siano riabilitativi/educativi sia che essi siano pragmatici), portando spesso ad una conflittualità che non fa altro che ampliare il vissuto di dolore del sistema famiglia. Non siamo qui a render le famiglie vittime di un sistema (non credo lo siano), ma sottolineare le difficoltà a cui vanno incontro ci dà modo di analizzare anche le resistenze stesse che le famiglie mettono in campo, resistenze che spesso danneggiano quanto le mancanze sociali.

Negazione, rabbia, oppositività, passività, vittimismo, così come mancanza di fondi, di strutture adeguate (scuole, centri ricreativi, architettura non conforme, etc.), di attenzione e accettazione, spesso spostano il ruolo della famiglia da risorsa collettiva, da portatrice e promotrice di valori e sensibilità genuine a fantasmi nella notte, persone nell’ombra della patologia e della condizione che la persona affetta da disabilità si trova ad affrontare giorno per giorno.

Emozioni, sentimenti, così come i legami affettivi tra i membri, una semplice gita... tutto va nell’ombra, tutto sembra oscurato dalla compassionevole missione che è la cura del paziente disabile.

Sensi di colpa, moralismi, negazione, spesso all’interno di fantasie e rappresentazioni degli stessi membri, come fantasmi nell’ombra appunto, non si notano, non si vedono, ma agiscono, maturano, si sviluppano e colpiscono, andando a minare i precari equilibri che con tanta fatica vengono costruiti. A volte il lavoro di anni sembra non avere efficacia, seppur strutturato nel migliore dei modi, portando nel tempo sentimenti di disillusione e rabbia che non di rado come conseguenza costituiscono un'ulteriore barriera al mondo esterno, in un circolo vizioso che sembra non aver via di fuga.

Il lavoro con la famiglia disabile, la presa in carico di tutto il sistema, il sostegno a tutti i membri, risulta necessario per far sì che questo circolo possa essere interrotto. Elaborare il lutto, la perdita di un figlio immaginato, accettare come parte del gioco sentimenti negativi come la rabbia, aggirare il senso di colpa, possono essere parte di un lavoro che può restituire equilibrio a tutto il sistema, eliminando quel sentore di onnipotenza destinato alla persona disabile, eliminando il peso di essere fautore unico delle gioie e dei dolori della famiglia e restituendo sogni, motivazioni, aspettative, ruoli e competenze, al fine di non dimenticare di essere persone con bisogni e necessità, che non siano il solo “prendersi cura di”.


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