La Resistenza al Cambiamento: una voce da accogliere
Dal latino: resistentia, da resistere, composto di re indietro e sistere fermare.
È un fermare respingendo; un tentativo di non cedere ad una forza, ad una spinta. Il termine è utilizzato in moltissimi campi, dalla fisica alla letteratura ma il concetto rimane lo stesso. Una forza respinge un movimento verso una qualsivoglia direzione. Pensiamo alla resistenza intesa come lotta contro i soprusi. Una qualche forza cerca di spingerci ad un cambiamento per noi spiacevole (in questo caso l’imposizione di modelli sociali dispotici) e noi resistiamo.
In Psicologia, la resistenza è un concetto introdotto da Freud che, in chiave psicoanalitica, ci mostra come il paziente metta in atto tutto ciò che gli impedisca l’accesso al contenuto inconscio alla coscienza (per lui intollerabile in quel momento), lavoro dello Psicoanalista era quello di abbattere quella resistenza.
Più in generale la Resistenza può esser vista come tutti quei movimenti, atti, pensieri che contrastano una spinta al cambiamento. Un cambiamento che può esser percepito come minaccioso per l’individuo in quanto promotore di una scoperta; di un movimento verso l’ignoto.
Psicologicamente parlando, seppur la resistenza ha una valenza difensiva, quindi al servizio della protezione dell’individuo, può esser di ostacolo al cambiamento ed a una maggiore esplorazione delle potenzialità dello stesso. Avete sicuramente sentito parlare di “zona di comfort”. Ebbene, come la parola ci suggerisce, questa zona è per noi rassicurante e conosciuta. Può capitare però di sentire, in un qualsiasi momento della nostra vita (pensate ad un lavoro che sentiamo non vicino ai nostri desideri), che ci vada “stretta” per così dire, impedendoci di sviluppare le nostre potenzialità e movimenti creativi come individui.
Uscire dalla zona di comfort non è semplice. È un salto nel buio. La resistenza ci mette in guardia da tutto ciò, suggerendoci il sentiero per noi famigliare. Se accolta e compresa può essere altrimenti un segnale importante per orientarci verso uno sviluppo del nostro Sé più vitale. Abbracciare quelle esperienze e apprendimenti che ci renderebbero maggiormente soddisfatti e che potrebbero restituire un senso di maggiore efficacia. O semplicemente ampliare le nostre attività rendendo la nostra vita più ricca e più soddisfacente.
Ad esempio, ho sempre voluto ballare ma non ho il coraggio… potrebbe essere un buon esempio di resistenza. Più o meno consapevolmente possiamo dirci: “Se non ballo non mi espongo alla vergogna (magari rievocando ferite passate molto dolorose spesso tenute ben nascoste alla consapevolezza) e sono al “sicuro”; ma ho sempre voluto farlo e se non lo faccio sento di perdere un’opportunità per arricchirmi”.
Oppure: “non ho mai sentito la fiducia di nessuno, non ho mai fatto niente di buono; perché mai dovrei provarci?”
Questi sono due esempi di pensieri e credenze costruite nel corso della nostra vita (a volte consapevoli molto spesso inconsapevoli perché intollerabili per noi), nel nostro ambiente relazionale, che organizzano la nostra esperienza di vita e che possono essere di ostacolo allo sviluppo sano del sé.
Perché l’aiuto di uno psicologo?
Perché la resistenza può assumere dei connotati non propriamente consapevoli per l’individuo. Spesso per anni ci si chiede: “Perché mai non riesco a fare ciò? Eppure sento davvero di volerlo fare…” e questo può restituire un profondo senso di inefficacia e svalutazione. La resistenza può esser percepita e “letta” come: “sono un incapace”; “è inutile che io lo faccia”, invece di esser accolta senza giudizio, come uno strumento evolutivo ed ascoltata: “se sento difficoltà verso quella direzione forse è la strada giusta”. Lo psicologo può aiutare a rendere il cliente consapevole delle proprie potenzialità e restituire un senso di fiducia nelle proprie capacità permettendo di esplorare nuovi orizzonti.